“Oh the 90s”

Era il 1996, avevo undici anni e guardavo MTV quotidianamente. Non avevamo ancora Internet a casa e mi stavo iniziando a creare una cultura musicale grazie a quel canale. Beverly Hills e Baywatch erano i contenuti pomeridiani di Italia 1 del periodo che se non li guardavi “non eri nessuno”.

Ma dicevamo, guardavo MTV.
All’epoca, insieme a TMC2 (RIP mi mancherai per sempre) era la mia finestra internazionale gratuita sulla musica e grazie al cielo trasmetteva il 90% dei suoi contenuti in lingua originale sottotitolata. C’è sempre stato poco rock ma, con il glam che ormai apparteneva a tutti gli effetti agli anni 80, anche il lato mainstream di quella scena marchiata Seattle dopo la morte di Cobain si andava man mano spegnendo diventando “di nicchia” per cedere il posto ad altri generi e sottogeneri che successivamente avrebbero iniziato a farla da padrone. Regnava indiscusso il panorama dei videoclip delle boyband di fama mondiale e delle band pop-rock-punk e derivati ambientati in scenari balneari, si imponeva sempre di più l’immaginario più solare della Southern California, gli Spring Breakers, lo Star System a stelle e strisce patinatissimo.
Tra le tante cose, spesso a molti eventi erano presenti Pamela Anderson e Tommy Lee.
I Mötley Crüe, in senso stretto, li ho scoperti qualche anno più avanti, ma al di là di qualche canzone non ci ho mai stravisto.
Tommy Lee non mi è nemmeno mai stato particolarmente simpatico, Pamela Anderson, forse complice il suo personaggio in Baywatch, invece sì.
Ho anche il ricordo di questa sua comparsata in un video del 1999 dei Lit, band californiana di cui mi piacevano un paio di singoli e basta, ma poi chissà che fine han fatto.

Non sono mai stata appassionata di gossip in vita mia, l’ho sempre trovato noiosissimo e ho avuto anche problemi a ricostruire alcuni fatti mentre guardavo la serie. Non ricordo nemmeno quanto tempo siano stati insieme in totale tra gli svariati tira e molla continui e i figli, ma all’epoca lo scandalo del famigerato Sex Tape illegale era arrivato fino a noi, tanto che ne avevano parlato anche al tg. Ho questo ricordo insieme a quella notizia dove si erano tatuati con lo stesso ago e lei si era presa l’epatite, ma forse a pensarci la storia era già abbastanza avanti. In ogni caso la coppia Pamela Anderson e Tommy Lee all’epoca era troppo “gallina dalle uova d’oro” del gossip per essere ignorata dal nostro paese che comunque, ricordiamolo, ha sempre guardato agli USA patria del trash, come modello da seguire.
Nel bene o nel male la serie di Hulu, Pam & Tommy mi ha fatto fare un tuffo non indifferente nella mia adolescenza.
Tutto questo discorso per dire che in quel periodo, per quello che avevo visto, li ho sempre percepiti più come parte integrante della cronaca rosa internazionale che altro.

Dato che in questi mesi, fin dall’annuncio delle riprese, sui vari social ne ho lette di ogni, specifico la mia posizione a riguardo nel caso in cui anche qui ci fosse qualche inquisitore del web: quello che è successo a loro due è vergognoso. È stato un furto di materiale privato e intimo e non lo dovrebbe sperimentare nessuno nella vita, dal signor nessuno al personaggio famoso XYZ. Per onestà intellettuale bisogna dire che questo scandalo ha comunque fatto, suo malgrado, da apripista involontario ad altre realtà postume (infelici?) come una Paris Hilton o Kim Kardashian alla vera ricerca di pubblicità e che grazie anche a questo espediente ormai sdoganato (o forse potremmo azzardarci anche a dire socialmente accettato), hanno cercato di fatturare.
Detto ciò, questa serie è un prodotto di cattivo gusto perché una voce vicina a Pamela Anderson riferisce che non ha dato il consenso? Lei ha tutto il diritto ad essere contraria perché è la sua vita, non metto in dubbio sia un trauma ed ero preoccupata anche io perché è un argomento spinoso, ma dopo aver visto un altro film su un altro scandalo a stelle e strisce degli anni 90 di qualche anno fa (che ho adorato talmente tanto che ogni tanto lo riguardo) mi fidavo di chi c’era dietro alla telecamera e ora sono contenta che questa miniserie sia stata girata così.
Vederlo mi ha fatto sentire una persona orribile o mi qualifica come tale agli occhi della gente? No e onestamente non mi interessa. Mi sentirei così se avessi visto il video vero, ma non un prodotto di finzione come questo.

Craig Gillespie (già regista di I Tonya), Lake Bell e Gwyneth Horder-Payton hanno sceneggiato e romanzato un fatto di cronaca che è a tutti gli effetti paragonabile a una “crime story”. Si tratta di fatti narrati in un articolo di Rolling Stone del 2014 e ci sono degli elementi presi direttamente dal libro di Tommy Lee, “Tommyland”.


In totale la serie è composta da otto episodi: i primi due, in particolare, sono concentrati relativamente su Tommy e poi su Pamela con un tono singolare rispetto agli altri. Quindi capisco perché i primi tre siano stati fatti uscire insieme nella prima settimana e l’ho apprezzato perché guardandoli l’ho interpretato come un’intenzione di voler fare il giro largo per poi poter dare un tono più definito alla narrazione. Funziona, scorre con un bel ritmo e non si fa mancare battute taglienti e momenti ironici.
In questa miniserie non si va per mezzi termini, è totalmente concentrata sul furto e ciò che gli ruota intorno strettamente senza divagare troppo su altri aspetti collaterali della relazione turbolenta tra i due.
Offre al pubblico un’infarinatura rapida su cos’era l’ambiente del porno negli anni 90, alcune delle sue dinamiche controverse che, col senno di poi, fanno riflettere su cosa possa esserci in giro al giorno d’oggi.

Pamela Anderson e Tommy Lee, innamorati pazzi, si erano sposati dopo 4 giorni e noi vediamo esattamente questo: il passaggio dall’idillio di una relazione freschissima con lei all’apice della popolarità e in procinto di dare una svolta alla sua carriera attoriale, al degenero repentino dovuto al furto di una cassaforte contenente suo malgrado la VHS, da parte di Rand Gauthier, come vendetta per le umiliazioni subite da parte di Lee. Il tutto condito da una serie di flashback atti a contestualizzare il periodo e le singole storie dei protagonisti con tutte le ripercussioni e una serie di udienze con domande improponibili.

Una cosa indubbiamente apprezzabile sta nel fatto che sia stato dato più risalto alla figura di Pamela e al fattaccio affrontato dal suo punto di vista, con le sue reazioni e l’impatto che ha avuto sulla sua persona sul piano pubblico e privato.
Personalmente non l’ho trovato un prodotto irrispettoso, ma permette allo spettatore di empatizzare ancora di più. Forse è un prodotto che può rientrare a tratti nella categoria moralizzatrice, visti gli anni che stiamo vivendo, ma contemporaneamente in grado di mantenere le distanze e raccontare in modo oggettivo i fatti e spingere inevitabilmente chi guarda a porsi delle domande.

A conti fatti è un evento più che spiacevole, ma che ahimè ormai fa parte della storia dello showbiz per quanto malata sia. Credo che forse, invece, potrebbe essere un’ottima occasione per riflettere sulla natura di tutta una serie di meccanismi che, oggi, ormai sono parte integrante di quel che sta dietro le quinte di una cosiddetta scalata al successo, di presunte o tali, star hollywoodiane mascherati col nome di “step obbligatori” per i quali dover passare, che ormai sono documentati su alcuni siti di settore.
Si parla di come Internet abbia cambiato inevitabilmente le vite di alcuni, in un’epoca ancora ampiamente analogica che, vista con gli occhi di oggi, sembra lontanissima (e ci rende difficile credere che ci siamo passati anche noi) e del paradosso di come il voyeurismo sia riuscito ad offuscare carriere navigate o meno.

Vorrei soffermarmi un attimo sugli attori che mi hanno fatto un’impressione più che positiva.
Lily James interpreta Pamela Anderson. Sebastian Stan interpreta Tommy Lee. Seth Rogen è Rand Gauthier, colui che ha commesso il furto e Nick Offerman il suo complice in affari.
Ero molto confusa. L’ho trovato fin dal principio un casting a dir poco coraggioso e bizzarro, soprattutto per quanto riguarda Lily James e Sebastian Stan.

Premesso che non ho mai avuto dubbi riguardo le loro capacità attoriali perché in questi anni gli ho visto fare prodotti interessanti, le mie perplessità risiedevano nell’aspetto fisico.
Ho sempre grande fiducia nelle capacità del settore “trucco e parrucco” delle produzioni d’oltreoceano, ma il “materiale” di partenza era un po’ distante dal mio ideale di casting. Mi devo mordere la lingua perché han fatto un lavoro egregio, sono ancora piacevolmente stupita dalla somiglianza di Lily James che si è dovuta fare non so quante ore di sedute di make up. Sebastian Stan, tatuaggi finti a parte, è sempre stato troppo “in salute” per interpretare uno secchissimo come Tommy Lee, ma ha funzionato.
Entrambi meritano un applauso per questi ruoli, in ogni caso, perché denotano un desiderio di cambiare rotta in termini di progetti lavorativi e passare a storie che richiedono un livello di sforzo (Sebastian Stan ha imparato a suonare la batteria per la parte), e coraggio, ulteriore. Sono una fan felice.

Attendo impaziente i nuovi lavori di Craig Gillespie, quando verranno. Per il resto io rimango dell’idea che questo lavoro non sia più controverso di un qualsiasi crime drama pieno di dettagli che si trova sulle piattaforme.

Commento meno serio, ma non per questo meno importante e irrilevante: non gli è mai servito alcun “aiuto” esterno con la sottoscritta, ma non sapevo di aver bisogno di Sebastian Stan così poco vestito, tatuato e con i piercing di Tommy Lee. E soprattutto di vedergli suonare la batteria finché non l’ho visto. È stato bello. Stavo già da anni sotto un treno, abbattetemi.

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